Il Gazzettino, 7 Giugno 2009
 
- Allora, signora Parisi, come vedremo Vicenza nel suo film?

(Stefano Ferrio)

«Molto viva, molto seducente. Una provincia felice. È un’idea che ho voluto rendere sin dalla prima scena, quando seguiamo un ballerino che cammina in mezzo al mercato di piazza dei Signori, ed è come se passasse attraverso le bancarelle in modo magico, avvolgente. Finché, all’improvviso... Un balzo».
Cosa succeda all’improvviso con quel balzo non è chiaro, nè sembra così utile capirlo. Eppure, già questo "trailer", quest’anteprima a voce ci fa dire "attenzione a Blind Maze", film su un gruppo di giovani e sognanti ballerini ambientato tutto a Vicenza, e pronto a uscire per l’autunno, dopo auspicabile passaggio al festival di Venezia. Quattro le settimane di ciak, finiti ieri dopo avere mobilitato una troupe dai ritmi forsennati fra teatro Olimpico, Monte Berico, stradine del centro, Villa Cordellina e altre lussuose magioni.
Attenzione, ripetiamo, perché è un "Blind Maze", un labirinto cieco da dove, al posto del Minotauro, può uscire una "nuova autrice" di cui parlare. Proprio Heather Parisi, quarantanovenne ballerina e soubrette fra le più note nella storia della Rai. Americana sì, ma anche italianissima. Squisitamente nazionalpopolare da quando, nemmeno ventenne, iniziava a svolazzare adrenalinica in un "Apriti sabato" da cui decollare imprendibile per le audience milionarie di "Fantastico".
Allora come oggi colpiscono in lei una dionisiaca esuberanza, una furente determinazione, una contagiosa simpatia. L’unica differenza è nel modo in cui comunica questa forza naturale. D’altra parte, non servono snodabili braccia e gambe da showgirl, quando bastano i bagliori celesti di due occhi che accendono il racconto fluviale e pittoresco regalatoci a lavorazione conclusa. Anche gli attillati tutù e le acrobatiche pose sono un pallido ricordo nella signora che, golfino viola e biondi capelli tirati su, fa il punto sul suo debutto dietro la macchina da presa in un salone della seicentesca villa trasformata dall’industriale Pino Bisazza e dalla figlia Federica in museo del trendy, sfavillante a due passi dalle scalette di Monte. È qui che, coccolata dal compagno - e produttore del film - Umberto Anzolin, industriale di Arzignano, Heather Parisi continua con i suoi trailer di "Blind Maze", spartendo affettuose raccomandazioni fra la troupe e le deliziose figliole Rebecca, 15 anni, e Jacqueline, che ne ha invece 9.

- Ma, ai tempi di una canzoncina-tormentone come "Cicale cicale", la regista si nascondeva già dietro la soubrette?

«È sempre stato il mio sogno, e in tutto questo tempo l’ho coltivato con cura».

- Quando ha sentito che poteva provarci?

«Quando ho capito che alla tv non avevo più nulla da chiedere. Dopo che hai lavorato con Baudo e Celentano, dopo che hai ballato accompagnata da Miles Davis lì in studio con la sua tromba, dopo che i migliori coreografi ti hanno dedicato il loro genio, puoi solo fermarti. Anche se magari continuano a invitarti di qua e di là».

- Quali film ha studiato in tutto questo tempo?

«Di ogni genere. Se mi prendono, mi basta vederli una volta, e poi li ricordo scena per scena».

- Con quali autori succede?

«Con i fratelli Scott. Mi piace Ridley, che gira capolavori come "Alien" e "Blade Runner", ma amo ancora di più Tony, che in "Deja vù" arriva alla perfezione nella scansione delle immagini, nel taglio di ogni singola inquadratura».

- Un grande culto della tecnica, quindi.

«In questo ammetto con gioia di essere americana fino al midollo. La storia da raccontare è fondamentale, e deve essere piena di emozioni e colpi di scena. Ma, se non trovo la forma con cui esprimerla, resta tutta sulla carta. E invece deve diventare film».

- La storia di "Blind Maze" racconta di un gruppo di artisti, soprattutto ballerini, in una città di provincia. Le coreografie risultano quindi decisive.

«Il fatto poi che tutti i balletti avvengano dentro il teatro Olimpico era una sfida mica da ridere».

- Come l’ha affrontata?

«Poche visioni in campo lungo, tipo cartolina, perché sullo schermo uccidono la bellezza di un capolavoro del genere. Che invece va cercata, scoperta, quasi spiata, per suscitare le emozioni giuste. E quindi molti primi piani, molti scorci, molti particolari eccitanti. Così uno che abita dall’altra parte del mondo capisce che vale la pena andare fino a Vicenza per vedere il teatro Olimpico con i suoi occhi».

- Alla fine ha deciso di girare in digitale, e non in pellicola.

«Una fortuna, perché così ho potuto accumulare ore e ore di materiale, mentre la pellicola è troppo costosa, e non mi avrebbe permesso scelte come quella che ho fatto in una scena girata a villa Cordellina»

- Cosa è successo?

«All’inizio volevo utilizzare la steadycam, una macchina che segue i movimenti dei personaggi. Poi però guardo, e mi dico no, questo è come Sentieri, General Hospital, è tremendamente piatto come in una soap opera televisiva».

- E allora?

«Abbiamo rifatto tutto con la camera fissa. Una meraviglia, perché così, lavorando di più sulle espressioni, sono venuti fuori i sentimenti dei personaggi».

- Non è che a volte i suoi giovani attori l’hanno un po’ odiata?

«Forse, perché magari diventavo dura come un coach, un allenatore. Qualcuno mi ha detto che non potevo pretendere certe cose ma, siccome avevo ragione, alla fine le ha fatte, e mi ha pure abbracciato per ringraziarmi».

- Che risultati comincia a vedere?

«Emozioni forti, ragazzi che all’inizio del film avevano solo una bella faccia, ma alla fine tirano fuori anche un’anima. E che anima».

- In platea piangeremo?

«Lo spero proprio, abbiamo fatto di tutto perché succeda. In una scena ci ha messo lo zampino anche il Signore».

- Come?

«Solo Lui poteva far venire fuori un raggio di sole in mezzo alle nuvole, perché illuminasse una particolare scena. Tutti penseranno a un effetto speciale, invece è il Creatore».

- Ma un lieto fine, quello almeno ce lo regala?

«Ah, il finale... Penserete tutti che va in un certo modo...».

- E invece?

«Invece scoprirete di non avere capito nulla. Quando succede a me, sono pazza di gioia».

 

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